La malattia di Crohn: cos’è e quadro clinico

La malattia di Crohn prende il nome dal chirurgo che all’inizio degli anni Trenta descrisse questa patologia dell’intestino, differenziandola dall’enterite tubercolare.

La localizzazione − Generalmente il 50% dei pazienti presenta un interessamento contemporaneo sia dell’ultima ansa dell’intestino tenue, sia del colon, nel 25% dei casi è coinvolta soltanto l’ultima ansa ileale, mentre nel 20% soltanto il colon, diffusamente o solo in parte. Nel restante 5% vi può essere presenza di lesioni dell’esofago, dello stomaco, del duodeno e del digiuno, in genere associate all’interessamento dell’ileo e/o del colon. Le lesioni sono tipicamente segmentarie. L’estensione − Essa si presenta con un’estensione variabile da caso a caso: possiamo così trovare soggetti con pochi centimetri di intestino colpito e pazienti in cui il coinvolgimento è assai più esteso. Oggi la diagnosi viene in genere posta entro pochi mesi dall’inizio dei sintomi. Negli ultimi anni anche in Italia i tempi di intervallo fra la comparsa dei sintomi e la diagnosi sono sicura- mente più brevi per una accresciuta sensibilità dei medici verso queste malattie.

Il quadro clinico − Sintomi classici sono: dolori addominali prevalentemente localizzati in fossa iliaca destra o periombelicali, emissione di feci diarroiche con presenza o meno di sangue, calo di peso e talora febbricola. Si associano anche manifestazioni extra-intestinali: dolori alle articolazioni, lesioni perianali, cutanee, orali e oculari. La preponderanza dell’uno o dell’altro segno e/o sintomo dipende dalla localizzazione, dall’estensione e dall’aggressività della malattia. Anche la localizzazione e l’estensione determinano quadri clinici differenti e richiedono differenti provvedimenti terapeutici. La localizzazione ileale o digiuno-ileale in genere si manifesta con diarrea, e si può associare a segni clinici e laboratoristici di malassorbimento. La diarrea è provocata da diversi meccanismi fisiopatologici: aumento della secrezione di muco, riduzione del riassorbimento di acqua e elettroliti , alterazione del circolo entero-epatico dei sali biliari(che normalmente vengono riassorbiti a livello dell’ultima ansa ileale e del colon), overgrowth batterico in presenza di stenosi e fistole, transito accelerato per precedenti resezioni chirurgiche. Nelle localizzazioni prossimali (stomaco, duodeno, digiuno) la sintomatologia è simile a quella della malattia peptica; in fase più avanzata possono comparire la nausea e il vomito.

L’esordio della malattia è acuto solo nel 20% dei casi; è possibile tuttavia rilevare prima della diagnosi una lunga storia di sintomi modesti ed aspecifici. Dopo l’esordio, la malattia presenta una tendenza alla riaccensione; in effetti, dopo 5 anni, più del 90% dei pazienti presenta almeno un episodio di ripresa dei sintomi.

Il decorso è cronico: talora si manifesta con un quadro prevalentemente fistolizzante. Altre volte invece con una forma stenotizzante. Quando compaiono le stenosi in un tratto di intestino, compare una sintomatologia a carattere subocclusivo o francamente occlusivo. Le fistole, gli ascessi e le lesioni perianali causano sintomi a livello locale (irritazione, emissione di secrezioni mucopurulente) e sistemiche (febbre) .Le raccolte ascessuali tra le anse intestinali possono stendersi in regione retroperitoneale o in sede sottocutanea, dove spontaneamente possono dar luogo a fistole entero-cutanee; gli ascessi in contiguità con altri organi favoriscono la comparsa di fistole enteroenteriche, entero-vaginali, entero-vescicali. Emorroidi, ragadi anali, ascessi perirettali e perianali con relativi tragitti fistolosi e orifizio esterno, costituiscono l’insieme delle lesioni perianali.

Esistono vari livelli di gravità: più della metà dei pazienti con malattia attiva presenta disturbi di lieve o moderata intensità; nel restante dei casi (20-30%) sono presenti disturbi severi; la malattia ha una certa tendenza a ridurre la propria aggressività, e dopo alcuni anni dall’esordio si osserva una diminuzione dell’intensità degli attacchi. Nel 50% dei pazienti senza segni e sintomi clinici di malattia attiva, è tuttavia presente una persistenza dell’attività infiammatoria documentabile solo con indagini laboratoristiche (proteine della fase acuta e indici di flogosi), scintigrafiche, endoscopiche o ecografiche. I sintomi clinici di attività della malattia attiva si manifestano più tardivamente. La valutazione dell’intensità dell’attività clinica si effettua nella pratica clinica calcolando la variazione dei sintomi, ma anche vengono utilizzati alcuni indici che valutano i sintomi chiave e alcuni dati di laboratorio: il più utilizzato è il CDAI (Crohn’s Disease Activity Index).

Si calcola che circa il 60% dei malati arrivi, entro 9 anni dall’esordio della malattia, all’intervento chirurgico. Va sottolineato che, in particolare, tale rischio è significativamente più elevato nei pazienti con prevalenti lesioni ileali, mentre è più basso in quelli con localizzazione colica.

Un’eventualità molto frequente è la recidiva post-chirurgica sull’anastomosi, che può essere dimostrata radiologicamente e/o endoscopicamente in circa il 70% dei casi ad un anno dall’intervento chirurgico.Ciò nonostante, per fortuna, grazie ai mezzi terapeutici oggi disponibili i pazienti con malattia di Crohn hanno un’aspettativa di vita sostanzialmente sovrapponibile a quella della popolazione normale.

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