Luoghi in cui fare festa: il conflitto tra diritto all’espressione e controllo sociale

Organizzare un compleanno a Roma può sembrare un gesto semplice, quasi banale nella sua quotidianità, eppure dietro la scelta del luogo in cui festeggiare – che sia un locale in periferia, un parco urbano, o uno spazio autogestito – si nasconde un intreccio di regole, permessi, tensioni e contraddizioni che raccontano molto di più: ci parlano del rapporto tra cittadino e spazio pubblico, tra creatività e burocrazia, tra desiderio di comunità e logiche di controllo. 

In periodo storico in cui l’espressione del sé passa anche attraverso i momenti condivisi, la possibilità di fare festa è diventata un indicatore del grado di libertà culturale e sociale che una città è in grado di offrire ai suoi abitanti. Ma vediamo insieme come.

La festa come forma di espressione collettiva

La festa, nelle sue infinite declinazioni – private, pubbliche, rituali o spontanee – è da sempre un linguaggio; uno spazio-tempo sospeso in cui si costruiscono identità, si cementano legami, si manifestano soggettività che spesso, nella quotidianità, restano silenziate; non è un caso che molte forme di protesta abbiano assunto un tono festoso: dai cortei con musica ai rave politici, fino alle celebrazioni queer che trasformano lo spazio urbano in un luogo di resistenza e affermazione.

Fare festa, in questo senso, è un atto politico, perché infrange le regole della produttività, mette in discussione i confini dell’ordine urbano e restituisce valore all’aggregazione; in una città come Roma, dove convivono antiche istituzioni e nuove spinte giovanili, la festa diventa una chiave per leggere le fratture sociali e culturali che attraversano i territori: non solo svago, ma espressione di bisogni e desideri collettivi, spesso incompatibili con le logiche di mercato o le normative municipali.

Controllo, norme e repressione: il volto nascosto della “sicurezza”

Negli ultimi anni, il concetto di sicurezza urbana è stato sempre più usato come giustificazione per regolamentare o, più spesso, reprimere le forme spontanee di aggregazione: divieti di somministrazione, ordinanze contro la “movida molesta”, restrizioni acustiche, chiusure anticipate, multe e interventi delle forze dell’ordine in eventi non autorizzati sono ormai all’ordine del giorno. 

La narrazione dominante contrappone la “libertà di fare festa” al “diritto al riposo” o al “decoro urbano”, trasformando le esigenze di pochi in strumenti per limitare l’autonomia di molti.

Il conflitto non è solo tra generazioni o stili di vita, ma tra due visioni della città: quella come spazio pubblico condiviso e dinamico, e quella come contenitore statico da controllare e normare; a Roma, come in molte altre città italiane, questo conflitto si manifesta in modo evidente nei confronti degli spazi autogestiti, dei centri sociali, dei parchi o delle piazze occupate da iniziative indipendenti; luoghi che, pur offrendo servizi, cultura e socialità, vengono spesso osteggiati perché sfuggono alla logica commerciale o al controllo istituzionale.

Spazi alternativi e pratiche di resistenza urbana

In risposta a questa stretta regolativa, si moltiplicano le esperienze di riappropriazione degli spazi: collettivi, associazioni, comitati di quartiere e reti informali danno vita a luoghi in cui la festa torna a essere un momento di costruzione comunitaria, e non un semplice prodotto da acquistare; si tratta di esperienze fragili, certo, ma estremamente vitali, che mettono in discussione i modelli dominanti di consumo culturale e propongono nuove forme di convivialità e partecipazione.

Dai cortili condominiali trasformati in arene teatrali, ai parchi urbani che diventano palcoscenici spontanei, fino agli edifici recuperati dal basso per ospitare serate musicali, laboratori e momenti ricreativi, queste pratiche dimostrano che è possibile creare alternative – nonostante le regole, nonostante le diffidenze. 

A Roma, insomma, è davvero possibile combinare festa e cultura partendo da un’idea diversa di spazio, libertà e partecipazione.

La festa come diritto: ripensare le politiche urbane

Per uscire dalla logica repressiva e costruire una città più inclusiva, è necessario riconoscere che la possibilità di fare festa è un diritto urbano, al pari dell’accesso alla casa, alla mobilità, al lavoro; serve una politica che non veda nell’aggregazione un problema da contenere, ma una risorsa da valorizzare: una città che non sa far festa è una città che non sa vivere. 

Questo significa, concretamente, rivedere le normative sull’uso degli spazi pubblici, investire in infrastrutture culturali di prossimità, facilitare l’autorganizzazione, promuovere la cultura dal basso anziché reprimerla.

A livello europeo, esistono modelli interessanti: città come Berlino o Barcellona hanno intrapreso percorsi di riconoscimento delle culture giovanili e notturne, introducendo figure come i “mediatori della notte” o supportando economicamente le iniziative culturali indipendenti. 

Una città come Roma, ad esempio, potrebbe imparare molto da queste esperienze, senza rinunciare alla propria specificità. Occorre però una svolta culturale, che metta al centro il diritto alla città nella sua accezione più ampia, libera e partecipata.

Il diritto di festeggiare come forma di cittadinanza attiva

Il modo in cui si fa festa in una città racconta molto del suo grado di democrazia e apertura; riconoscere la festa come spazio politico, culturale e sociale vuol dire accettare che non tutto può essere regolato, previsto, commercializzato. Vuol dire anche accettare il rumore, l’imprevisto, l’errore: tutto ciò che rende vivi i luoghi e le relazioni.

In un mondo in cui l’individualismo e la paura sembrano dominare, la festa rappresenta ancora uno dei pochi momenti in cui ci si riconosce come comunità; ecco perché difendere il diritto di festeggiare – che sia un corteo, un rave, un pic-nic notturno o un semplice compleanno a Roma – è oggi più che mai un atto di cittadinanza attiva e consapevole. Perché vivere insieme non significa solo convivere, ma anche condividere spazi, tempi, emozioni e possibilità.

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