“O tempora, o mores”: cosa significa la frase latina di Cicerone

La frase “O tempora, o mores” è una locuzione latina di Cicerone tratta dal quarto libro della sua seconda orazione contro Verre (capitolo 25) e dalla Prima Orazione contro Catilina. Da ricordare che la forma “O tempora! O mores!” con i due punti esclamativi è inesatta, perché l’interpunzione è stata introdotta soltanto nel Medioevo e non era, invece, utilizzata originariamente dai latini.

Quanto al contenuto, nel suo discorso di apertura contro Catilina Cicerone deplora la perfidia e la corruzione dei suoi tempi, in quanto egli è frustrato dal fatto che, nonostante tutte le prove compilate contro l’accusato che stava cospirando per rovesciare il governo romano e assassinare l’oratore stesso e nonostante il fatto che il Senato avesse dato il Senatus consultum ultimum (l’ultimatum), Catilina non era ancora stato giustiziato. Cicerone continua, infatti, descrivendo i vari episodi della storia romana in cui alcuni consoli hanno ucciso dei cospiratori con prove minori e a volte sulla base del solo sospetto di insurrezione.

Qual è la sua traduzione?

La traduzione letterale della locuzione ciceroniana è “Che tempi! Che costumi!”, da riferirsi all’epoca in cui l’oratore viveva (I secolo a.C.) e alle abitudini intese come usanza immorali di quel tempo. Non avendo, però, un’indicazione geografica e temporale ben precisa, la frase è stata spesso utilizzata nelle epoche successive per indicare la medesima situazione anche se proiettata in epoche differenti. Bisogna, quindi, sempre seguire le dovute accortezze quando si sceglie di riadattarla a periodi storici differenti dall’originario.

Come si analizza e cosa significa?

Il plurale di tempus, oris tempora si ha in variatio per la regola dei nomi neutri della terza declinazione ed essendo di genere neutro – il genere che il latino aveva in più rispetto al femminile e al maschile e che, poi, nel passaggio al volgare è confluito nei due che ben conosciamo – esso presenta la medesima forma in tutti i casi diretti: soggetto, oggetto e complemento di vocazione. In questo caso si ha il complemento di vocazione che indica la chiamata diretta alla persona, o cosa, citata, come in un discorso diretto o in un’evocazione.
Sempre della terza declinazione latina fa parte anche il termine mores, is che, al contrario di tempus, essendo un maschile e avendo un’altra desinenza, segue le regole del gruppo in -es e quindi non presenta l’aggiunta di suffisso nei casi indiretti del singolare e al plurale. Però, come tutta la terza declinazione e non solo per il genere neutro, ha comunque i casi diretti plurali identici. Per cui anche in questo caso mores potrebbe essere un nominativo, un complemento oggetto o un vocativo plurale. Essendo già tempora un vocativo, però, mores rispetta la concordanza, evidenziata dalle due esclamazioni O iniziali.

Articoli correlati: