Stress da lavoro e salute: lavorare troppo può danneggiare il corpo e la mente

In un mondo in cui il tempo sembra non bastare mai, in cui la produttività è diventata il metro di misura della realizzazione personale, lavorare otto ore al giorno è considerato, per molti, il minimo sindacale. Tra email che arrivano anche di sera, riunioni fuori orario e carichi di lavoro sempre più pesanti, l’iperlavoro si è ormai trasformato da eccezione a regola. Ma quali sono le conseguenze per il nostro organismo e per la nostra psiche?

Numerosi studi internazionali stanno lanciando l’allarme: lavorare troppo, e farlo per lunghi periodi, può avere impatti devastanti sulla salute fisica e mentale. Si va dal rischio aumentato di malattie cardiovascolari fino all’insorgenza di disturbi psicologici come ansia e depressione. Non solo: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il burnout – la sindrome da esaurimento professionale – è ormai considerato una vera e propria malattia legata al lavoro, con costi umani ed economici altissimi.

Nel 2021, uno studio condotto dall’OMS in collaborazione con l’International Labour Organization ha stimato che ogni anno oltre 745.000 persone muoiono per cause legate all’eccesso di lavoro. Una cifra che fa riflettere, e che impone una nuova consapevolezza: lavorare troppo non è sinonimo di efficienza, ma di rischio. In gioco non c’è solo la produttività, ma la qualità – e la durata – della nostra vita.

Il corpo sotto pressione: quando lo stress logora l’organismo

Il nostro corpo non è fatto per resistere a uno stress continuo. Se per brevi periodi possiamo “tenere botta” e affrontare situazioni lavorative intense, nel lungo termine lo sforzo prolungato può diventare un pericolo concreto. La prima vittima è il sistema nervoso, che sotto stress attiva una risposta fisiologica basata sulla produzione di ormoni come il cortisolo e l’adrenalina. Se questa risposta non si interrompe mai, l’effetto boomerang è inevitabile.

Infiammazioni croniche, insonnia, tensione muscolare, emicranie ricorrenti: questi sono alcuni dei sintomi iniziali che spesso vengono ignorati o sottovalutati. Ma il rischio va oltre. Una ricerca pubblicata su The Lancet ha dimostrato che le persone che lavorano più di 55 ore a settimana hanno un rischio del 33% più alto di ictus e del 17% più alto di malattie coronariche rispetto a chi lavora tra le 35 e le 40 ore.

Anche la digestione ne risente: acidità di stomaco, colon irritabile e problemi intestinali sono frequenti tra chi vive in costante tensione. Il sistema immunitario, indebolito dal sovraccarico, diventa meno efficiente, lasciando spazio a infezioni frequenti e a una generale sensazione di affaticamento. Persino la pelle può diventare un indicatore di malessere, con sfoghi, acne o perdita di capelli legati al continuo stato di allerta psicofisico.

E poi c’è la mente. L’ansia è una compagna silenziosa ma presente, che si manifesta con irritabilità, difficoltà di concentrazione e sbalzi d’umore. Nei casi più gravi, l’accumulo di tensione può sfociare in depressione, attacchi di panico, disturbi dell’alimentazione o dipendenze. “Il lavoro è importante, ma la salute lo è di più”, sottolinea il dottor Paolo Bianchi, psichiatra specializzato in disturbi da stress. “Purtroppo, troppe persone arrivano a chiedere aiuto solo quando il corpo grida. E spesso è troppo tardi”.

I lavoratori più colpiti sono quelli impiegati in settori ad alta pressione: sanità, finanza, tecnologia, ma anche ristorazione e logistica. In queste categorie, turni massacranti, carenze di personale e obiettivi sempre più alti creano un terreno fertile per l’esaurimento. E non bisogna dimenticare i lavoratori autonomi e freelance, che spesso non hanno orari fissi né tutele, e finiscono per essere i più esposti al rischio di sovraccarico.

Strategie e soluzioni: come il mondo del lavoro sta cambiando passo

La buona notizia è che qualcosa sta cambiando. Sempre più aziende e istituzioni iniziano a prendere coscienza del problema e a sperimentare soluzioni innovative per migliorare il benessere dei propri dipendenti. In Europa, paesi come la Francia e la Spagna hanno introdotto l’“obbligo di disconnessione” dopo una certa ora, vietando ai datori di lavoro di contattare i dipendenti al di fuori dell’orario d’ufficio. In Belgio, la settimana lavorativa di quattro giorni è stata testata in numerose aziende con risultati promettenti: meno stress, più produttività e maggiore soddisfazione tra i lavoratori.

Anche in Italia alcune realtà stanno seguendo questa direzione. Aziende tecnologiche, startup e realtà cooperative iniziano a offrire orari flessibili, giorni di riposo aggiuntivi e programmi di supporto psicologico gratuito. Un investimento che, secondo i dati, ripaga in termini di fedeltà, rendimento e riduzione dell’assenteismo. “Un dipendente sereno è un dipendente produttivo”, sottolinea Chiara L., responsabile HR di una grande azienda farmaceutica milanese. “Offrire strumenti per gestire lo stress non è un costo, ma una scelta strategica”.

Ma non basta delegare tutto all’azienda. Anche i singoli lavoratori devono imparare a riconoscere i segnali del proprio corpo e a rispettare i propri limiti. Gli esperti consigliano di fare pause regolari, dedicare tempo al movimento fisico, ridurre l’uso degli schermi fuori dall’orario lavorativo e – soprattutto – imparare a dire di no. “Abbiamo interiorizzato l’idea che fermarsi sia un fallimento”, spiega la psicologa del lavoro Marzia Donati. “Ma la verità è che fermarsi è un atto di cura. Di noi stessi, ma anche del nostro lavoro, che solo così può essere sostenibile nel tempo”.

Anche la gestione del tempo è una chiave fondamentale: imparare a organizzare la giornata, a pianificare con realismo, a delegare quando possibile. Così come lo è il recupero: il sonno non deve essere sacrificato in nome delle scadenze, perché un cervello stanco lavora peggio e si ammala di più.

Infine, c’è il tema del supporto psicologico. Offrire accesso a figure professionali che possano ascoltare e aiutare i lavoratori in difficoltà è ormai una necessità, non un lusso. In un mondo in cui le malattie psichiche sono in aumento, creare spazi di ascolto all’interno dei luoghi di lavoro è una delle sfide più urgenti del nostro tempo.

Conclusione

Il lavoro è una parte fondamentale della nostra vita: ci dà identità, soddisfazione, relazioni, stabilità economica. Ma non deve diventare un tiranno. Lavorare troppo, senza pause e senza ascoltarsi, porta il corpo e la mente a un punto di rottura. E quando si rompe, ricostruire non è facile.

È tempo di cambiare paradigma: non si è più forti quando si resiste oltre il limite, ma quando si riconosce il momento di rallentare. La vera efficienza si misura sulla durata e sulla qualità, non sulla quantità. E la salute, quella vera, inizia proprio da qui.

Imparare a fermarsi, ascoltare il proprio corpo, prendersi cura di sé: non è un segno di debolezza, ma di intelligenza. Perché vivere meglio, significa anche lavorare meglio. E più a lungo.

 

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