Cenni storici sulla birra artigianale
La birra artigianale, cioè quella prodotta con ingredienti naturali e senza alcuna aggiunta di sostanze chimiche, ha origini lontanissime nel tempo. Di lei si parla addirittura nella Bibbia e gli archeologi hanno trovato notizie sulla sua produzione presso gli Etruschi, gli Egizi, i Romani. Nel Medioevo è nacque la grande tradizione della produzione nei conventi.
La leggenda racconta che la birra è dovuta a un errore nel dosaggio degli ingredienti che tradizionalmente la compongono, cioè acqua, lievito, malto d’orzo e luppolo. Pare che una donna di circa 3500 anni fa dimenticò fuori casa un contenitore con all’interno dei cereali. La pioggia li bagnò e innescò la naturale fermentazione, creando il primo “esperimento” di birra.
Una lunga tradizione che riguarda la birra artigianale è quella dei frati trappisti, che ancora oggi la preparano secondo una “ricetta” antica, che la rende famosa in mezzo mondo. Degli oltre 100 monasteri dove si produceva fino all’inizio del XIX secolo, oggi ne rimangono solo 7 e pochi sanno che uno di questi si trova proprio in Italia, nel cuore di Roma.
Perché si chiama birra artigianale
Oggi tutto ciò che è definito artigianale è distinto da quello che riguarda la produzione industriale, che negli anni del consumismo ha preso paradossalmente una connotazione tutt’altro che positiva.
La birra artigianale è un prodotto che si rifà alla tradizione non solo per gli ingredienti totalmente genuini, ma anche per il processo di preparazione, fermentazione e degustazione.
Dal punto di vista strettamente nutrizionale si tratta di una bevanda che non ha subito la cosiddetta pastorizzazione, che avviene esponendola per pochi secondi ad alte temperature, per garantire la lunga conservazione e quindi la commercializzazione su ampia scala.
Non che la birra di produzione industriale non abbia una scadenza, ma in quella artigianale è necessaria attenzione anche alle condizioni ambientali di conservazione e al periodo di consumazione molto più breve.
Dal produttore al consumatore
Con la birra artigianale si ha il piacere di gustare un prodotto “come si faceva una volta”, cioè senza alcun conservante, colorante, aroma sintetico o sostanza aggiunta, che possa prolungare la sua commestibilità.
Si ha il sentore di tutti gli ingredienti, che vanno a creare quel gusto pieno, frizzante e antico che gratifica il palato ed esalta i sapori.
Non è superfluo sottolineare che si tratta di un prodotto di alta qualità, non solo nutrizionale, ma anche di unicità in base alla provenienza degli ingredienti utilizzati.
La birra artigianale, infatti, merita di essere gustata possibilmente presso il produttore, che avrà anche il piacere di rendere partecipi i suoi ospiti di come riesce a creare questo prodotto.
Si può affermare che ogni produttore ha un suo piccolo segreto nel conferire alla birra artigianale note uniche, che la distinguono e la esaltano.
Di contro la birra prodotta a livello industriale è un prodotto standardizzato, con un sapore omogeneo, livellato rispetto alla richiesta del mercato. La sua produzione segue ovviamente le logiche della commercializzazione e non presta tutta l’attenzione all’eccellenza.
Sono aumentati i controlli sul risultato, abbassando i tempi di fermentazione, per renderla più digeribile e meno saziante per via delle bollicine. Nella birra artigianale tutto il processo di maturazione avviene con i suoi tempi, affiancando la sapienza maturata nei secoli con le fasi classiche della lavorazione.
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Come si ottiene la birra artigianale
Molti amano la birra artigianale, ma pochi conoscono le fasi del suo processo di lavorazione. Come accennato l’ingrediente principe è l’orzo, un cereale che potrebbe essere confuso con il grano, ma con caratteristiche ben distinte, a cominciare dalla spiga che punta verso il basso e non verso l’alto. Il malto d’orzo si ottiene nella fase successiva, che è quella in cui si lasciano i chicchi in un’atmosfera carica di umidità. Questo innesca la nascita dei primi germogli e arriva, quindi, il momento in cui vengono cotti. Si tratta di una fase decisiva, perché il sapore della birra artigianale dipende proprio dai tempi di cottura.
I chicchi d’orzo essiccati vengono quindi macinati e mescolati all’acqua, ottenendo il cosiddetto “mosto”, che sarà messo a bollire con l’aggiunta del luppolo, che conferire quel gusto tipicamente amarognolo.
Qui inizia la fermentazione che si innesca grazie all’aggiunta dei lieviti, cioè funghi dai quali si genera l’alcool e l’anidride carbonica.
Dopo circa 5-6 settimane il prodotto è pronto, rigorosamente venduto in bottiglie con vetro scuro per preservare le sue caratteristiche organolettiche.
La spillatura
Non imbottigliarla nel vetro scuro significherebbe lasciare che i lieviti residui continuino la sua fermentazione, snaturando il sapore. In questo modo il processo si blocca e si garantisce l’alta qualità e l’eccellenza di un prodotto unico nella sua composizione.
I tempi di conservazione sono ovviamente brevi, in quanto una volta aperta la birra artigianale va consumata subito, dopo essere stata accuratamente “spillata”. La spillatura è quella che avviene quando la bevanda viene versata nel bicchiere direttamente dal bocchettone del fusto.
Ci sono varie “scuole” di questa fase, considerata molto importante per la degustazione. C’è chi inclina il bicchiere nel riempirlo e chi lo mantiene in posizione verticale, in modo che quando la schiuma andrà fuori dal bordo, verrà letteralmente tagliata con una spatola,, per mantenere la corposità. L’utilità della schiuma sta nell’impedire che si inneschi prematuramente il processo di ossidazione, creando una sorta di filtro contro la penetrazione dell’aria. La natura stessa sa come preservare questa bevanda così amata.
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