San Suu Kyi e la democrazia birmana

Aung San Suu Kyi ha mantenuto la sua parola. Dopo una lunga ed impari lotta col governo ed una vincinta elettorale epocale nel 2015, il premio Nobel per la Pace aveva assicurato ai suoi elettori che avrebbe fatto di tutto per ritagliarsi un ruolo dominante nel primo governo a maggioranza Lnd.

Poichè la Costituzione approvata dalla giunta militare nel 2008 le impedisce di diventare presidente, Aung San Suu Kyi è riuscita a far si che la carica fosse assegnata al suo fedelissimo consigliere politico, nonchè compagno di classe alle elementari, Htin Kyaw.

Allo stesso tempo, però, la donna si è attribuita di due importanti ministeri e si è fatta nominare dal Parlamento consigliere di Stato, formalizzando in maniera definitiva la sua posizione di comando nell’ombra.

San Suu KyiHtin Kyaw, nel suo discorso di insediamento, ha sottolineato come il suo ruolo e la sua carica siano simbolo della vittoria del popolo che da sempre inseguiva il sogno della democrazia in un paese fortemente vessato e oppresso dalle prepotenze dell’opposizione. Oggi i dittatori che hanno gestito il Myanmar per oltre 50 anni sono fuori gioco.

Titola la notizia il Washington Post «Cambiamento non vuol dire democrazia», in una visione più cinica dell’accaduto. Ribatte che, purtroppo, la Costituzione del Paese garantisce ancora ai generali poltrone sufficienti ad impedire la modifica del testo che protegge i loro interessi e privilegi.

La transizione birmana, invece, sta avvenendo: occorreranno pazienza, i tempi saranno lunghi, e prudenza, Aung San Suu Kyi non dovrà mai abbassare la guardia.

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